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Olimpiadi invernali/Boni e Manfredi: noi e Putin non siamo "Sochi". E non solo per le leggi anti gay e l'omofobia
Giulio Manfredi, Membro della Direzione di Radicali Italiani, e Igor Boni, Presidente dell'Associazione radicale Adelaide Aglietta:
Abbiamo letto l’accorata lettera aperta del premier Enrico Letta, con la quale rivendica fermamente le buone ragioni a sostegno della sua presenza, oggi, all’inaugurazione delle Olimpiadi Invernali di Sochi. Ci permettiamo solamente di rilevare che una cosa è dichiararsi contro tutte le discriminazioni (comprese quelle sessuali) sulle pagine del “Corsera”, un’altra cosa è riuscire a dichiararlo in modo intelligibile oggi a Sochi, alla presenza di zar Putin.
Ci preme segnalare un grave rischio: quello che passi nella vulgata del web che l’unico “colpa” della Russia sia quello della legislazione anti-gay, causa ed effetto di una diffusa omofobia. Non è così: le Olimpiadi Invernali si svolgeranno a poche decine di chilometri dal confine con la Georgia, Paese che è stato attaccato e occupato in parte dalla truppe russe appena sei anni fa, nell’estate del 2008; e a poche centinaia di chilometri dalla Cecenia, invasa dalle truppe russe 14 anni fa, con il conseguente massacro di 100.000 civili ceceni (un decimo della popolazione complessiva). Se Putin non fosse lo zar di un Paese che possiede l’arma atomica, sarebbe già stato incriminato dalla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità, crimini di guerra e genocidio. Gli stessi crimini che il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon ha imputato allo zar siriano Assad, che detiene ancora il potere solamente grazie al sostegno russo.
Dietro ai sorrisi di Sochi, c’è un Paese, la Russia, nel cui Parlamento siede Andrei Lugovoj, agente segreto prima del KGB e poi del FSB, accusato dalla magistratura britanncia di aver ucciso nel 2006 Aleksandr Litvinenko, cittadino inglese dell’Unione Europea.
E dietro ai sorrisi di Sochi c’è un Paese, la Russia, che è a tutti gli effetti una democratura (democrazia formale + dittatura sostanziale), come lo era la Serbia di Milosevic; un Paese governato da un’ alleanza degli oligarchi fedeli a Putin (gli altri sono stati ridotti al silenzio, vedi Khodorkovsky) con i siloviki, gli uomini che Putin nel corso di oltre un decennio ha cooptato dall’apparato di sicurezza e inserito nei gangli dell’amministrazione, della burocrazia e delle aziende statali (Gazprom e non solo), diventati parte integrante del gruppo centrale di potere.
Per tutto questo, e non solo per la legislazione anti-gay, noi e Putin non siamo Sochi.
Torino, 7 febbraio 2014
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Tito, Bolognetti: E’ giunto il momento di procedere ad una integrale bonifica del Sin di Tito Scalo e, laddove questo non sia possibile, ad interventi di messa in sicurezza.
Fonte Il Quotidiano della Basilicata, 7 febbraio 2014
Di Maurizio Bolognetti, Direzione Nazionale Radicali Italiani e Consigliere Associazione Coscioni
Mentre nei palazzi della Regione fischia il vento e infuria la bufera, una notizia, che di già qualcuno vorrebbe rubricare alla voce “allarmismo”, rende a dir poco inquieti. Nella Basilicata Saudita finalmente il carburante ci arriva direttamente a casa, basta aprire il rubinetto. A Tito, piccolo centro in provincia di Potenza, analisi effettuate dall’Agenzia regionale per l’ambiente confermano la presenza di idrocarburi nell’acqua che sgorga dal rubinetto delle abitazioni. Acqua agli idrocarburi!!!
Succede a Tito, la cui zona industriale rientra tutt’ora tra i siti di bonifica di interesse nazionale e nel cui territorio sono state stoccate migliaia di tonnellate di fanghi industriali nella famigerata vasca fosfogessi. Una bomba ecologica la vasca ubicata nell’area ex-liquichimica, dove a detta del sindaco Pasquale Scavone sarebbero stati stoccati anche fanghi provenienti dalle attività di estrazione idrocarburi. Il primo cittadino di Tito ebbe a sostenerlo in un’intervista che realizzai nel gennaio 2010 per Radio Radicale.
Sempre a Tito troviamo poi la plastica rappresentazione della fallimentare gestione del ciclo dei rifiuti, in una terra che vanta la metà degli abitati di Napoli. Sto parlando di quell’autentica barzelletta che risponde al nome di “Stazione di trasferenza”. Praticamente un parcheggio per la monnezza dove vengono convogliati i rifiuti di decine di comuni in attesa di uno smaltimento emergenziale e, come abbiamo avuto modo di scoprire, illecito.
Come se non bastasse, al quadretto affatto idilliaco si aggiunge la contaminazione delle falde prodotta dalla Daramic, i rifiuti della Ferriera e, ciliegina sulla torta, il percolato proveniente dalla dismessa discarica di Rsu di Aia dei Monaci.
La presenza di idrocarburi nell’acqua che arriva sulle tavole dei Titesi è un fatto di una gravità inaudita; di più, un crimine, un attentato alla salute.
Oggi, ora, subito, Acquedotto lucano dovrebbe spiegarci perché le analisi, che pure dovrebbe effettuare sulla qualità delle acque, non hanno rilevato la presenza di un pericoloso contaminate.
Soprattutto ci chiediamo da quanto tempo alcuni, e si spera non tutti, cittadini di Tito bevono acqua agli idrocarburi e cucinano e si lavano con la stessa acqua.
A Tito, gioverà ricordarlo, sono tutt’ora in vigore due ordinanze di divieto di utilizzo dell’acqua dei pozzi.
Credo sia giunto il momento di procedere ad una integrale bonifica del Sin di Tito Scalo e, laddove questo non fosse possibile, ad interventi di messa in sicurezza. Ma soprattutto è giunto il momento di far luce fino in fondo sui veleni industriali e politici della Lucania fenix, sui conflitti di interesse, le indagini sepolte e quelle mai fatte.
Sulla vicenda del Sin di Tito c’è materiale a sufficienza per spingere la Procura della Repubblica di Potenza ad aprire un’inchiesta avente come ipotesi di reato il disastro ambientale.
Nel contempo mi chiedo quale sia stato il destino dei due esposti che proprio sulla vicenda Tito depositai in Procura nel 2009.
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