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#Sbanchiamoli - Fuori i partiti dalle banche / Conferenza stampa a Venezia
Mettere fine al connubio banche – partiti. Porre un freno all'ingerenza della politica nelle scelte di distribuzione del credito. È l'obiettivo della campagna “#Sbanchiamoli – Fuori i partiti dalle banche. Credito a chi merita” ideata dai Radicali italiani. Attraverso questa iniziativa, i Radicali vogliono puntare un faro sulla strettissima relazione esistente fra il mondo politico e gli istituti bancari che ha conseguenze dirette sull'accesso al credito da parte di cittadini e imprese.
I partiti, infatti, attraverso gli enti locali, controllano le fondazioni bancarie e queste, a loro volta, scelgono gli amministratori delle banche che decidono come distribuire il credito.
La proposta di riforma
Il partito non intende solo denunciare la situazione: vuole anche cambiarla. Per questo #sbanchiamoli si è concretizzata in una petizione e in una proposta di legge che è già stata presentata ai presidenti di Camera e Senato e ai rappresentanti dei gruppi parlamentari. Nel documento si chiede di separare l'attività delle fondazioni bancarie, guidate dai partiti, dalle banche.
L'iniziativa presentata oggi in Consiglio regionale a Venezia ha già fatto tappa a Parma, Roma, Milano, Genova e Torino. Sul web è stato lanciato il canale www.radicali.it/banche dove si possono trovare tutti i documenti di approfondimento e firmare la petizione, mentre su Twitter è attivo l'hashtag #sbanchiamoli.
Le dichiarazioni
Valerio Federico, tesoriere dei Radicali italiani
«Attraverso la nostra proposta di riforma, offriamo a Matteo Renzi un'occasione di rottamare la vecchia politica. Porre fine all'ingerenza dei partiti nelle banche sarebbe una vera rottamazione. Per quanto riguarda gli enti locali, invece, chiediamo a chi li governa quali sono stati i benefici che le fondazioni bancarie hanno portato in termini di credito alle piccole e medie imprese. Noi sappiamo che non ci sono stati; se qualcuno afferma il contrario lo dimostri».
Alessandro Massari, membro della direzione di Radicali italiani
«L'attuale legge sulle fondazioni bancarie che viene in più parti violata, soprattutto sull'obbligo della diversificazione degli investimenti, è un ennesimo caso della prevalenza della ragion di Stato sul rispetto del principio dello Stato costituzionale di diritto. Una nuova legge, quindi, è necessaria per separare nettamente le fondazioni dalle banche facendo sì che capitali nazionali o stranieri possano entrare nel circolo del credito. Rivitalizzando quel circuito virtuoso delle piccole e medie imprese che è la colonna vertebrale dell'impresa italiana e che soffoca non per mancanza di talento, merito o richieste dall'estero, ma per una stretta creditizia in gran parte imputabile al rapporto dannoso che esiste fra banca e fondazione. I nodi gordiani si tagliano, sbanchiamoli!».
Diego Bottacin, consigliere regionale di “Verso Nord”
«Ho letto la proposta di riforma e ne condivido gli intenti e le finalità. La ritengo particolarmente importante in questo periodo perché tutte le fondazioni bancarie si sono trasformate in luoghi in cui si esercita il potere politico in modo improprio e autoreferenziale».
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L’apprendista stregone e la parola magica per fermare il sortilegio
Primo pezzo dal nuovo Blog di laurarconti
Firenze, 3 marzo 2014 - Un lancio dell’agenzia Adnkronos annuncia l’apertura dell’iter legale - che si concluderà il 31 corrente - per la decadenza dalla carica di Sindaco di Matteo Renzi. Il consiglio comunale ha approvato la delibera che reca per oggetto “Contestazione della condizione di incompatibilità al sindaco Matteo Renzi, a seguito della nomina a presidente del Consiglio dei Ministri”, presentata dal presidente dell'assemblea cittadina Eugenio Giani.
Solo in Italia possono accadere cose del genere: che un Sindaco, diventato capo del Governo, non eserciti la elementare correttezza di dimettersi immediatamente dalla carica precedente, ed aspetti di esser messo alla porta con un atto legale dell’amministrazione comunale.
Ma nessuno si meravigli: lo stesso personaggio, dopo aver accuratamente preparato con due anni di assidua campagna elettorale la propria nomina a segretario nazionale del suo partito (mentre era regolarmente retribuito come Sindaco di una città capoluogo), ritiene di poter continuare a dirigere il partito anche dopo che è diventato presidente del Consiglio, cioè primo ministro del Governo di tutti gli italiani. Una cosa simile può accadere solo in Italia.
L’Italia, un tempo culla del Diritto, che ora assiste silenziosa ed impietrita al disfacimento di ogni regola del viver civile, ha visto per la prima volta nella storia una crisi di governo decisa durante la direzione di un partito politico, e non ha avuto neppure il coraggio di gridare che si stava attuando un colpo di stato. Qualcuno è corso a rileggere la Costituzione, temendo d’esser vittima di un improvviso attacco di senilità, per vedere se qualche articolo -nascosto chissà dove o proditoriamente cambiato- autorizzasse una crisi di governo attuata al di fuori del Parlamento. Ma l’articolo 94 era ancora lì al suo posto, e ancora recitava che “la mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione”. Ma allora come ha potuto un ragazzotto da periferia, cavalcando un’ambizione sfrenata oltre misura, tirare una gomitata alle costole di un compagno di partito perché questi si facesse da parte e gli lasciasse la poltrona? Forse un giorno gli storici lo spiegheranno alle nuove generazioni.
Tutto il resto non desta meraviglia, è stato già vissuto. Troppo presto per dare un giudizio sul Governo che Renzi ha costruito sulla sua propria misura, con scelte dettate dalla ricerca del giovanilismo ad ogni costo, convinto forse che all’inesperienza ed all’incompetenza sia possibile supplire con l’abilità di comunicatore, di tribuno che piace al popolo. Dopo il discorso della fiducia, l’Economist commenta: “esordio sfilacciato, il nuovo primo ministro d’Italia si dilunga nelle promesse ma scarseggia nei dettagli sulle riforme che intende fare”. La successiva nomina dei sottosegretari e viceministri sembra un tentativo di equalizzazione: accanto al giovane inesperto, il personaggio scelto per appartenenza partitica, che garantisce comunque l’appoggio numerico al momento del voto. Un manuale Cencelli redivivo, ed una conferma di appartenenza: ancora partitocrazia, ancora democrazia negata. E questo è già un segnale positivo, sta a significare che il delirio di onnipotenza comincia a scontrarsi con la dura realtà della dipendenza dai ricatti.
Non si deve dimenticare che la vocazione totalitaria richiede una sorta di drammatica grandezza, anche nel male, che è ben lontana dal carattere del nuovo apprendista stregone. Egli conosce la formula magica per avviare il sortilegio, ma ignora la parola che può farlo cessare prima che provochi danni irreparabili per tutti. Il tempo farà giustizia degli errori.
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Caso Giovine/Radicali: Consiglieri centrodestra mettono legalità sotto i piedi
Pichetto, Crosetto e Porchietto, silenzio perfetto? Solo on. Napoli canta fuori dal coro?
Giulio Manfredi, Membro di Direzione Radicali Italiani, e Igor Boni, Presidente Associazione radicale Adelaide Aglietta:
Ogni volta i consiglieri regionali di centrodestra sanno stupirci, ogni volta al ribasso. Non contenti di aver rinviato sino ad oggi la presa d’atto della decadenza da consigliere regionale di Michele Giovine (atto dovuto ai sensi della “Legge Severino”: art. 8, comma 6, D. lgs. 31/12/2012, n. 235), questa mattina i membri del centrodestra della Giunta delle Elezioni hanno fatto mancare il numero legale.
Riconosciamo al vice-presidente Andrea Buquicchio – che chiederà alla conferenza dei capigruppo la convocazione ad oltranza della Giunta elezioni – di essersi mosso correttamente, seppure con ritardo (la sentenza definitiva di condanna di Giovine risale al 14 novembre 2013).
Ma ormai il “caso Giovine” è uscito da Palazzo Lascaris. Il “caso Giovine” è il “caso legalità”, è il "caso Piemonte", e investe in pieno coloro che nel centrodestra si stanno spintonando ai nastri di partenza per essere il candidato alla carica di Presidente della Regione. Gilberto Pichetto, Guido Crosetto e Claudia Porchietto non possono continuare il loro silenzio perfetto sulla vicenda. Devono dichiarare pubblicamente se intendono riprendersi in squadra Michele Giovine, come fece Enzo Ghigo nel 2005 (Giovine si presentò come “Consumatori con Ghigo”, raccolse migliaia di firme false ma il processo finì in prescrizione) e come fece Roberto Cota nel 2010, con il risultato che i piemontesi devono tornare a votare per colpa delle accettazioni di candidatura false dei due Giovine, junior e senior. Non è possibile che l’on. Osvaldo Napoli sia l’unico esponente del centrodestra a cantare fuori dal coro. Se il centrodestra non ripudia Giovine, correrà per tutta la campagna elettorale con una pietra legata al collo e noi non perderemo una sola occasione per rimarcare che questo centrodestra si è messo la legalità sotto i piedi, come mai accaduto in precedenza.
Intanto abbiamo affidato al nostro avvocato Alberto Ventrini l’incarico di valutare gli estremi per una denuncia in sede penale per omissione d’atti d’ufficio. Speravamo di non arrivare a tanto ma questo Consiglio regionale vuole a tutti i costi essere premiato con l’Oscar del peggiore Consiglio dal 1970 ad oggi. A tutto vantaggio del Movimento 5 Stelle, che in questi anni non ha fatto nulla per contestare in tribunale le firme false di Giovine e il cui unico consigliere regionale non era presente in Giunta elezioni né questa mattina né alla seduta del 31 gennaio scorso.
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