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Il tribunale di Grosseto apre la strada al matrimonio tra persone dello stesso sesso. E se accadesse anche a Torino?
Silvio Viale e Igor Boni chiedono che il Sindaco Fassino si renda disponibile a trascrivere sui registri comunali matrimoni celebrati all'estero tra persone dello stesso sesso.
Il Tribunale di Grosseto con ordinanza del 3 aprile 2014 ha ordinato al Cmatriomune di Grosseto di trascrivere nei registri dello stato civile il matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all'estero, poiché non è contrario all'ordine pubblico, è valido e produce effetti giuridici nel luogo in cui è stato pubblicato e infine non sussiste né nelle norme del diritto internazionale privato né nella legislazione interna, un riferimento alle diversità di sesso quale condizione necessaria per contrarre matrimonio.
Silvio Viale in qualità di consigliere comunale a Torino ha presentato una mozione che chiede tra l'altro che il Sindaco, o un suo delegato, nella qualità di Ufficiale di Stato Civile, possa trascrivere gli atti di matrimonio celebrati all'estero tra persone dello stesso sesso residenti a Torino.
Dichiarazione di Silvio Viale, Presidente del Comitato nazionale di Radicali Italiani e consigliere comunale del PD, e Igor Boni, Presidente Associazione radicale Adelaide Aglietta e candidato alle regionali per il PD:
"Il Tribunale di Grosseto apre la strada al riconoscimento ufficiale in Italia di matrimoni celebrati all'estero tra persone dello stesso sesso. Chiediamo che il Consiglio comunale di Torino e il Sindaco Fassino dichiarino sin da subito la loro disponibilità a fare la stessa cosa per una coppia dello stesso sesso che chiedesse di trascrivere sui registri dello stato civile della città il loro matrimonio realizzato fuori dai confini italiani. Come spesso accade sulle questioni legate ai diritti civili e alle libertà personali i tribunali aprono un varco nella legislazione anticipando il legislatore. In questo caso vorremmo vedere davvero “Torino capitale dei diritti” e vorremmo lo fosse non solo a parole".
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Lettera al Presidente della Repubblica. Rita Bernardini scrive a Giorgio Napolitano per ringraziarlo e informarlo sui dati ufficiali in circolazione su carceri e giustizia
Egregio Presidente,
non finirò mai di ringraziarLa per quanto sta facendo a favore del ripristino dello Stato di Diritto nel nostro Paese. Può contare poco, ma come Segretaria di Radicali italiani, mi sento pienamente rappresentata dal modo in cui Lei esercita il mandato di supremo magistrato del rispetto dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quanto in essa è stato recepito dalle giurisdizioni superiori, in primo luogo quelle europee.
Ieri quando ho letto la Sua bellissima dichiarazione sull’ANSA a proposito dell’iniziativa di Marco Pannella, mi sono dovuta subito rammaricare per la nota aggiuntiva dell’agenzia sui dati riguardanti le carceri e intitolata “12 mila detenuti in più rispetto ai posti”. In questo take continuava ad essere fornito il dato totalmente falso di una capienza regolamentare di 48.309 posti.
Nel condurre il mio recente sciopero della fame (Satyagraha) durato 46 giorni, ho contestato al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria la correttezza dei dati diffusi riguardo alla capienza effettiva dei posti disponibili per i detenuti e chiesto ufficialmente al Ministro della Giustizia i dati veritieri sia dell’effettiva ricettività “legale” degli Istituti Penitenziari, sia della composizione dell’immensa mole dei procedimenti penali pendenti che affolla le scrivanie dei magistrati oberate da oltre 5.300.000 procedimenti penali pendenti che rendono la Giustizia italiana illegale sotto il profilo dell’irragionevole durata (violazione sistematica da trent’anni dell’art. 6 della CEDU e art. 111 della Costituzione italiana).
Alla prima delle richieste, il DAP mi rispondeva con una nota riportata dall’agenzia di stampa ADN Kronos del 2 aprile scorso nella quale, dopo aver premesso di ritenere diffamatorie le mie contestazioni sui dati, ammetteva letteralmente: “La vastità del patrimonio edilizio penitenziario determina fisiologicamente un certo numero di posti indisponibili per ragioni di inagibilità e per esigenze di ristrutturazione ordinaria e straordinaria, pertanto alla data odierna il numero esatto dei posti detentivi effettivi disponibili è di 43.547, pari al 90,14% della capienza regolamentare".
Ottenuto questo piccolo successo di “verità”, ho ritenuto di dover confutare anche la cifra finalmente resa nota dei 43.547 posti. Sono infatti da prendere in considerazione alcune realtà penitenziarie che hanno più posti detentivi rispetto all’effettiva presenza di detenuti. Si consideri, per esempio l’isola della Sardegna, dove a fronte di 1.800 posti regolamentari, abbiamo non più di 1.100 reclusi: a meno di pensare ad una deportazione di massa nell’isola, continueranno ad esserci 700 posti inutilizzati che però il DAP fa rientrare nella capienza regolamentare complessiva. Lo stesso vale per gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari in via di dismissione, seppure rallentata da una recente imbarazzante proroga: anche nel caso degli OPG, abbiamo altri 400 posti in più inutilizzabili che il DAP fa rientrare nella capienza regolamentare generale. Non credo di sbagliare, Signor Presidente, se affermo che occorra sottrarre altri 2.739 posti che fanno arrivare il totale dei posti “legali” a 40.808… per oltre 60.000 detenuti. A questo proposito, mi permetto di inviarLe una nota che ho voluto intitolare “I polli di Trilussa”. (Allegato 1)
Inoltre, trovo irrispettoso nei confronti dell’intelligenza dei cittadini che il DAP, nel fornire ufficialmente sul sito del Ministero della Giustizia la irrealistica cifra dei 48.309 posti, se la cavi aggiungendo un asterisco che recita “*Il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato.”
Ma non è solo un problema di metri quadrati e non mi soffermo su questo perché, con il Suo messaggio alle Camere, Lei ha dato una lezione di educazione civica a tutti, me compresa.
Per mettere in pratica il macabro “gioco dei tre metri”, l’Amministrazione penitenziaria sta effettuando in questi giorni massicci spostamenti di detenuti trasferendoli lontani dalle famiglie (600 trasferiti da Poggioreale non si sa dove) mentre si sa che i reclusi preferiscono subire i trattamenti illegali pur di poter avere colloqui con i propri congiunti: figli, mogli, genitori… e, d’altra parte, la vicinanza ai propri familiari è regola di legge stabilita dell’Ordinamento Penitenziario.
Vengo ora all’altro problema che è in totale violazione dell’art. 3 della CEDU: il problema sanitario. È recentissima la notizia di un altro detenuto morto nel carcere di Giarre per mancanza di cure. La notizia è di qualche giorno successiva a quella dell’ennesima sentenza di condanna da parte della Corte EDU che ha chiesto all’Italia di risarcire con 25.000 euro un detenuto che non era stato curato. Il Ministero della Giustizia ha prontamente risposto che il caso si riferiva a 5 anni fa e che oggi la situazione è nettamente migliorata. A questo proposito, Signor Presidente, più delle mie parole (anche se personalmente sono in contatto quotidiano con una moltitudine di familiari di detenuti disperati per le drammatiche condizioni di salute dei loro congiunti), vale il rapporto della Società italiana di medicina penitenziaria (Simpse) secondo il quale “in cella contraggono malattie il 60-80% dei detenuti”.
Il Rapporto in sintesi afferma: “A trasformare le prigioni in veri e propri lazzaretti sono la presenza di soggetti a rischio, come i tossicodipendenti, che sono il 32% del totale, ma anche il sovraffollamento, che favorisce i contagi e l'assenza di controlli sistematici, per cui anche le dimensioni esatte del fenomeno non sono conosciuti. "Questi numeri derivano da nostre stime - spiega il presidente della SIMPSE Sergio Babudieri - non esiste infatti un Osservatorio Epidemiologico Nazionale, che noi chiediamo e solo due Regioni hanno attivato quello regionale. Il risultato è che probabilmente i dati sono sottostimati, anche perché molti dei detenuti non sanno di avere una malattia o non vogliono saperlo per non apparire indeboliti". Secondo le stime presentate, oltre i tossicodipendenti che sono, appunto il 32%, il 27% ha un problema psichiatrico, il 17% ha malattie osteoarticolari, il 16% cardiovascolari e circa il 10% problemi metabolici e dermatologici. Tra le malattie infettive è l'epatite C la più frequente (32,8%), seguita da Tbc (21,8%), Epatite B (5,3%), Hiv (3,8%) e sifilide (2,3%).”
Non mi soffermo – come Le ho detto – sul percorso riabilitativo che, in base al nostro ordinamento, dovrebbe essere addirittura “individualizzato”: il lavoro che non c’è se non per una minoranza di detenuti e lo studio anch’esso riservato a pochi fortunati. Così come tutti gli altri parametri considerati dalla Corte EDU affinché il trattamento in carcere non sia inumano e degradante, cioè illegale.
Ciò che mi preme in conclusione farLe sapere è che ancora non sono riuscita ad ottenere dal Ministero della Giustizia i dati riguardanti la composizione – per titolo di reato e per pena edittale massima – della mole immensa dei procedimenti penali pendenti. Qui siamo nel campo dell’altra violazione sistematica che vede il nostro Paese condannato da oltre trent’anni per l’irragionevole durata dei processi. Il dato è importante perché ci consentirebbe di sapere quanti procedimenti cadrebbero con un’amnistia per pena edittale massima a 3, 4, 5 anni. Solo la Guardasigilli dott.ssa, Annamaria Cancellieri riuscì, almeno, a recapitarmi una nota redatta dai suoi uffici che – con rilevazioni fatte un po’ a spanne – affermava che con un’amnistia a tre anni sarebbero caduti il 30% dei procedimenti (allegato 2). D’altra parte, nessuno degli oppositori ai provvedimenti previsti dall’art. 79 della Costituzione sembra curarsi dell’amnistia strisciante delle prescrizioni sempre più decisa dalle Procure della Repubblica, in violazione del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale al quale i funzionari pubblici che compongono i ruoli della magistratura penale dovrebbero essere vincolati ad attenersi.
E’ mai possibile che coloro che sono chiamati a “governare” non siano in possesso di dati di conoscenza basilari ai fini della decisione dei provvedimenti da adottare?
Le chiedo veramente scusa, Signor Presidente, del tempo che Le ho sottratto per la lettura di questo mio scritto a Lei indirizzato.
Accolga i miei più deferenti saluti
Rita Bernardini
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